Ricorso per conflitto d'attribuzioni per la regione EmiliaRomagna, in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale, rappresentata e difesa per mandato a margine del presente atto dagli avv.ti Valerio Onida e Alberto Predieri ed alettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Nazionale, 230, giusta deliberazione 31 gennaio 1990, n. 122, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, rapapresentato e difeso ex lege dall'avvocatura dello Stato, per l'annullamento della deliberazione della commissione di controllo sull'amministrazione della regione Emilia-Romagna del 15 dicembre 1989, prot. 9105 rg. 6901. 1. - Con deliberazione 29 giugno 1989, n. 2620, il consiglio regionale, sulla base della proposta deliberata dalla giunta regionale con atto n. 745 in data 1 marzo 1988, stabiliva "di adottare il Piano paesistico regionale, di cui all'art. 1- bis della legge 8 agosto 1985, n. 431, costituito dagli elaborati licenziati dalla commissione consiliare 'territorio e ambiente' con parere n. 216/3.3 nella seduta dell'11 maggio 1989 (modificati, quanto alle 'norme', in sede di discussione consiliare) siccome indicati in parte narrativa: di dare atto che il piano paesistico - i cui originali saranno depositati presso la segreteria del consiglio regionale relativamente agli elaborati di progetto sara' depositato, in copia conforme, presso le sede delle amministrazioni provinciali, del circondario di Rimini, delle comunita' montane e delle assemblee dei comuni dell'Imolese e del Cesenate; di dare altresi' atto che l'adozione del piano paesistico regionale comporta l'applicazione delle misure di salvaguardia di cui all'art. 55 della l.r. 7 dicembre 1978, n. 47, e successive modificazioni, facendo contestualmente venire meno l'efficacia delle disposizioni dettate dal consiglio regionale con le deliberazioni nn. 596 e 597 in data 19 marzo 1986, nonche' dei decreti ministeriali, se e in quanto vigenti, in applicazione dell'art. 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984; di disporre che il presente provvedimento consiliare di adozione del piano paesistico regionale sia pubblicato sul bollettino ufficiale della regione". 2. - Il provvedimento 15 dicembre 1989 prot. 9106 reg. 6901 della C.C.A.R.E.R., con cui sono state annullate le deliberazioni del consiglio regionale di adozione del piano paesistico dell'Emilia-Romagna n. 2620 del 29 giugno 1989 e n. 2897 del 30 novembre 1989, era stato preceduto dall'ordinanza n. 5249/3833/quinquies del 24 luglio 1989, con la quale la commissione di controllo sull'amministrazione della regione Emilia-Romagna, esaminata la predetta delibera consiliare n. 2620, invitava il consiglio regionale a voler fornire al riquardo chiaridmenti ed elementi integrativi di giudizio: atto viziato per eccesso di potere perche' esorbitante rispetto alle finalita' della funzione di controllo. La deliberazione di annullamento sopravvenuta e' atto illegittimo cosi' come quello che lo aveva preceduto, e che lede in modo grave l'autonomia della regione Emilia-Romagna. In questa sede non ci si deve soffermare sul vizio della funzione che ha portato l'organo statale ad impedire alla regione di esercitare il potere-dovere di bloccare le compromissioni del territorio e dell'ambiente, di esercitare il suo dovere di difesa e di attuazione del valore primario qual'e', secondo l'insegnamento della Corte, la tutela dell'ambiente e del paesaggio. Considerazioni su questi vizi che possono far motivatamente parlare di eccesso di potere, cosi' come quelle sulla gravita' di un distorto uso della funzione attribuita dalla legge, che porta a non tutelare l'interesse pubblico altamente qualificato della tutela paesistica e ambientale, vanno trascurate in questa sede; qui vanno solo rilevate e denunciate le lesioni delle competenze regionali. 3. - Va ricordato, in premessa, che la competenza esercitata dalla regione con l'atto annullato dalla commissione di controllo non rientra nell'ambito delle funzioni di tutela del paesaggio delegate ai sensi dell'art. 82 del d.P.R. n. 616/1977, ma e' competenza spettante per attribuzione propria alla regione nella materia urbanistica, trasferita alla regione medesima gia' con l'art. 1, primo comma, lett. a) (approvazione dei piani territoriali di coordinamento), oltre che con l'art. 1, quarto comma (redazione e approvazione dei piani paesistici); del d.P.R. n. 8/1972, e disciplinata dalla l.r. 7 dicembre 1978, n. 47, e successive modificazioni. Che l'attribuzione regionale di pianificazione territoriale rivesta l'intero territorio regionale, e' fuori discussione. E che tale pianificazione possa (e debba) avere fra l'altro contenuto tale da assicurare la tutela dei valori paesistici e' altrettanto indiscutibile, e risulta in particolare dal trasferimento delle funzioni in tema di piani paesistici (art. 1, quarto comma, del d.P.R. n. 8/1972), contenuta nell'art. 80 del d.P.R. n. 616/1977, ai cui sensi essa comprende fra l'altro la disciplina dell'uso del territorio comprensivo di tutti gli aspetti concernenti, fra l'altro "la protezione dell'ambiente". Quando quindi la legge n. 431/1985 prevede, con riferimento ai beni soggetti a vincolo paesistico, alternativamente la formazione di "piani paesistici" o di "piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei vincoli paesistici ed ambientali", non fa che riferirsi all'uso - appunto alternativo - di due strumenti gia' rientranti nelle attribuzioni proprie della regione. In particolare, il piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici non e' uno strumento nuovo, la cui formazione da parte della regione sia stata prevista e consentita per la prima volta da questa legge, ma e' uno strumento pienamente rientrante nelle competenze regionali urbanistiche, solo vincolato nel fine dalla legge statale in ordine alla necessaria tutela dei valori paesistici; e come tale considerato, per gli effetti di tale tutela, strumento alternativo al piano paesistico in quanto idoneo a ricomprendere e ad assorbire, nel suo piu' ampio contenuto, anche i fini di tutela del paesaggio. Il piano urbanistico-territoriale e' e resta espressione della potesta' pianificatoria della regione, estesa a tutto il territorio regionale. La legge n. 431/1985 non ha certo ridotto l'ambito e il contenuto di tale potesta', ma lo ha solo arricchito di un contenuto necessario ulteriore (la considerazione dei valori paesistici). Il provvedimento impugnato incorre in questo fondamentale equivoco: di trattare l'atto soggetto a controllo come se esso fosse interamente ed esclusivamente soggetto alla normativa propria dei piani paesistici in senso stretto (quelli di cui all'art. 5 della legge n. 1497/1939), e non fosse invece espressione della piu' ampia potesta' regionale di pianificazione territoriale. Con il paradossale effetto, oltretutto, di impedire da un lato l'esercizio di una competenza costituzionalmente spettante alla regione, dall'altro lato di impedire una effettiva tutela dei valori paesistici ed ambientali. L'art. 1- bis fa riferimento ai beni soggetti a vincolo paesistico, ma solo per rendere, in relazione a tali beni, obbligatoria la formazione di piani; non certo per limitare o ridurre la generale potesta' della regione di formare piani urbanistico-territoriali per l'intero proprio territorio e di assicurare in tale ambito anche la tutela dei valori paesistici. 4. - Afferma alla C.C.A.R.E.R. che la regione non puo' procedere a deliberare un piano urbanistico territoriale che si estenda al di la' delle aree di cui all'elenco dell'art. 1 predetto, se non dopo avere utilizzato le procedure di vincolo di cui alla legge n. 1497/1939. Tale asserzione e' infondata, dato che la regione ha adottato un piano paesistico come "piano urbanistico territoriale" ai sensi dell'art. 1- bis della legge n. 431/1985 e del titolo secondo della legge ER 47/1985. L'art. 1- bis distingue piani paesistici e piani urbanistici territoriali con considerazione di valori paesistici, che sono ad ogni effetto piani urbanistici e come tali non limitati alle sole aree assoggettate a vincolo paestico. La deliberazione consiliare dice nelle sue premesse "che l'art. 1- bis della legge 8 agosto 1985, n. 431, dispone la redazione da parte delle regioni di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali" e con riferimento alla legge ER 7 dicembre 1978, n. 47, delibera di adottare il piano paesistico dando "atto che l'adozione del piano paesistico regionale comporta l'applicazione delle misure di salvaguardia di cui all'art. 55 delle l.r. 7 dicembre 1978, n. 47, e successive modificazioni". L'art. 1 delle norme del piano in modo esplicito prevede che "nel quadro della programmazione regionale e della pianificazione territoriale ed urbanistica il presente piano territoriale paesistico, formato secondo il combinato disposto dell'art. 15 l.r. 5 settembre 1988, n. 36, e del punto 2 del primo comma dell'art. 4 della l.r. 7 dicembre 1978, n. 47, nonche' per le finalita' e per gli effetti di cui all'art. 1 bis della legge 8 agosto 1985, n. 431, persegue i seguenti obiettivi determinando specifiche condizioni ai processi di trasformazione ed utilizzazione del territorio: a) conservare i connotati riconoscibili della vicenda storica del territorio nei suoi rapporti complessi con le popolazioni insediate e con le attiviata' umane; b) garantire la qualita' dell'ambiente, naturale ed antropizzato, e la sua fruizione collettiva; c) assicurare la salvaguardia del territorio e delle sue risorse primarie, fisiche, morfologiche e culturali; d) individuare le azioni necessarie per il mantenimento, il ripristino e l'integrazione dei valori paesistici e ambientali, anche mediante la messa in atto di specifici piani e progetti". Il dire, come dice la deliberazione impugnata, che "in entrambi i sistemi, sia in quello della legge n. 431/1985, di predeterminazione in via astratta dei beni da tutelare, sia in quello della legge n. 1497/1939, di loro individuazione in concreto, sussiste comunque un momento preminente ed ineliminalibile, quello della individuazione appunto dell'oggetto su cui operare, del bene da sottoporre a tutela per il suo valore ambientale e culturale: solo dopo tale individuazione e' dato alla regione di predisporre la redazione del piano paesistico o urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali", e' un fraintendimento di un dato normativo chiaro (e unanimemente interpretato), sia perche' limita il potere pianificatorio regionale alle aree assoggettate al vincolo paesistico, sia perche' confonde struttura e funzioni dei piani paesistici e dei piani urbanistici territoriali. La C.C.A.R.E.R. afferma che la regione puo' adottare o approvare piani paesistici, ma non puo' provvedere all'attuazione del valore primario di tutela del paesaggio e dell'ambiente anche fuori dalle aree soggette a vincolo, con i piani urbanistici territoriali di cui all'art. 1- bis della legge n. 431/1985, perche' essi sono piani urbanistici. E' viceversa insegnamento della sentenza n. 153/1986 della Corte costituzionale che i piani previsti dall'art. 1- bis della legge n. 431/1985 sono "strumenti urbanistici in funzione di tutela paesistica" (punto 4 diritto); e nella sent. n. 151/1986 la Corte afferma che l'art. 1- bis "regola l'esercizio qualificato, e teleologicamente orientato in senso estetico-culturale, di competenze regionali in tema di urbanistica" (punto 5 del diritto). La dottrina ha conseguentemente avuto modo di sottolineare che il ragionamento della Corte nelle sentenze nn. 151 e 153 del 1986 "muove dal presupposto della natura urbanistica del piano previsto dal secondo comma dell'art. 1- bis e quindi della piena coincidenza di questo con quello attribuito dal legislatore del 1972 alla competenza propria" (Immordino, "Primarieta'" ed "essenzialita'" del valore paesaggistico e conseguente assetto delle competenze Stato-regioni, Riv. giur. urb., 1987, 23 e segg., p. 36; cfr. Torregrossa, La tutela del paesaggio nella legge 8 agosto 1985, n. 431, Riv. giur. ed., 1986, II, 135 e segg.; Id., Dall'ambiente al paesaggio nella legge 8 agosto 1985, n. 431, Giur. merito, 1986, IV, 735 e segg.). Il piano territoriale-urbanistico e', e non puo' non essere, piano urbanistico, (Alibrandi e Ferri, I beni culturali ed ambientali. Appendice a commento alla legge 8 agosto 1985, n. 431, Milano, p. 12 e segg.; Torregrossa, Relazione introduttiva al Convegno di Salerno del 9 novembre 1985, in Atti, Rimini, 1985, p. 19 e segg., Zeviani Pallotta, Natura giuridica dei vincoli temporanei di inedificabilita' della legge 8 agosto 1985, n. 431, Riv. giur. ed., 1986, II, 195 e segg., sp. p. 199 e segg.; Pallottino, La pianificazione dell'ambiente nella legge 8 agosto 1985, n. 431, Riv. giur. amb., 1988, 636 e 645; Morbidelli, Legge "Galasso": durata e forma di imposizione dei vincoli di inedificabilita' nei piani urbanistico-paesistici, Riv. giur. urb., 1986, III, 325 e segg.; Zaccardi, Le competenze statali e regionali in materia di tutela del paesaggio, Riv. giur. ed., 1986, II, 187 e segg.). Non diversa e' la posizione di chi parla di "sistema rinnovato di disciplina del territorio, considerato non piu' come mero luogo di riferimenti urbanistici attinenti alla gestione ed uso del medesimo, ma come ambiente-funzione di valori paesistici e culturali, sicche' la competenza degli interventi implica un rapporto di necessaria integrazione dei poteri" (De Leonardis, Verso la tutela del paesaggio come situazione oggettiva costituzionale, Riv. trim. dir. pubbl., 1988, 342 e segg., p. 368; Cutrera, Piani paesistici, territorio e "legge Galasso", Riv. giur. amb., 1986, 37 e segg., p. 38) che si inserisce nella cornice delle decisioni della Corte costituzionale: sentenze nn. 151 e 153/1986 (in particolare, la sent. n. 151/1986 insiste sul carattere "gestionale e dinamico" che viene ad assumere la tutela del paesaggio); sentenze nn. 94 e 359 del 1985, 302 e 499 del 1988. Nella sentenza n. 151/1986 la Corte afferma che con la ridefinizione dell'"oggetto" dell'urbanistica si e' consolidato il principio della confluenza nell'assetto del territorio di molteplici e diversificati interessi (anche storici, ambientali, paesaggistici), affidati ad istanze statali e regionali (cfr. soprattutto art. 1 della legge 6 agosto 1967, n. 765; art. 7, n. 5, della legge 19 novembre 1968, n. 1187; artt. 1 e 17 della legge 28 gennaio 1977, n. 10; artt. 80 e 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; artt. 10, ultimo comma, e 29, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47). In verita' questo processo era stato accolto e, per taluni aspetti, anticipato dalla legislazione regionale (nella quale si iscrive la legge piemontese n. 69 impugnata), che aveva direttamente o indirettamente annoverato tra le funzioni dei piani urbanistici la tutela ambientale, paesaggistica e storica del territorio in genere. Ad essa si accompagno' la svolta giurisprudenziale, segnata dalla netta presa di posizione del Consiglio di Stato (ad. plen. 9 marzo 1982 n. 3). Il giudice amministrativo sanci' la legittimita' del divieto di coltivazione delle cave, contenuto in un piano regolatore generale, anche per il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n. 10 e del d.P.R. n. 616/1977 - che incisero sull'individuazione del concetto di urbanistica -, in quanto tale divieto fosse fondato sulla indicazione di ragioni specifiche e particolarmente gravi, connesse alla salvagurdia dell'ambiente". 5. - Punto nodale dell'art. 1- bis della legge n. 431/1985 e' la defferenziazione dei due strumenti - piano paesistico e piano urbanistico-territoriale - lasciata alla discrezionalita' del competente organo regionale, che puo' scegliere fra un piano speciale qual'e' quello paesistico, che e' speciale per la limitazione delle aree (cioe' solo quelle vincolate) e per il contenuto dei precetti, e un piano generale, che puo' investire l'intero territorio (qualunque ne sia la fisica estensione) e che attua, mediante peculiari precetti, il valore primario di tutela del paesaggio. Questa scelta attribuita alle regioni e' un punto qualificante della legge n. 431/1985. Il riferimento ai piani paesistici (strumento abbozzato nella legislazione del 1939 in situazioni istituzionali e culturali ben diverse dalle attuali), che era stato effettuato dal c.d. decreto Galasso e di nuovo nel d.-l. 27 giugno 1985, n. 312, venne opportunamente corretto dal Parlamento con la legge n. 431/1985. Esso, nel riscrivere quasi completamente l'originario decreto-legge, introduceva nell'art. 1- bis per le regioni la scelta fra piani paesistici e piani urbanistico-territoriali con particolare considerazione dei valori paesistici e ambientali. In tal modo, opportunamente, il Parlamento riportaba nell'alveo della pianificazione territoriale la tutela di un valore primario come e' la difesa del paesaggio, superando le angustie concettuali e operative della normazione del 1939. Questa, infatti, vedeva il piano paesistico come un pianpo di dettaglio affidato alla soprintendenza incaricata dal Ministero, redatto valendosi della collaborazione degli uffici tecnici comunali, secondo una disposizione (art. 5 del r.d. 3 giugno 1940, n. 1357) che testimonia la diversita' di impostazione, di dimensioni, di spessore, di interazioni e di coerente fra il piano paesistico "elementare" e il piano urbanistico territoriale, strumento, quest'ultimo, complesso, di ampio respiro e di dimensioni ampie e tendenzialmente rivolto ad una regolazione globale del territorio, quanto meno a introdurre una disciplina a vasto spettro. Questo piano implica una serie di normazioni di uso e di valorizzazione del territorio, la cui formazione implica a sua volta complesse istruttorie volte a fornire le basi cognitive di una serie di previsioni, di prescrizioni, di ordini, di direttive e via dicendo, caratterizzate dalla preminenza dei valori individuati dal piano nel quadro dei valori primari paesistici. Il piano riconduce ad una teleologica (Corte costituzionale n. 153/1986) diverse normazioni di settore, in un disegno coerente e nel rispetto della gerarchia dei valori. Cosicche' anche norme e istituti urbanistici in senso stretto, nei settori agrario o delle cave e via dicendo, vengono utilizzati e indirizzati per realizzare la tutela del paesaggio e dell'ambiente considerati nella loro interezza, e assunti costituzionalmente come valori primari rispetto agli altri, che risultano di volta in volta subordinati o finalizzati rispetto ai primi. Il provvedimento della C.C.A.R.E.R. asserisce invece che piano paesistico e piano urbanistico territoriale sono entrambi limitati alle sole aree soggette al vincolo di tutela previsto dalla legge n. 1497/1939 e dalla legge n. 431/1985, ed individuate o per atto amministrativo o dalla legge, affermando che "solo dopo tale individuazione e' dato alla regione di predisporre la redazione del piano paesistico o urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali" (pag. 3 del provvedimento); e proseguendo col dire che "appunto la carenza di tale presupposto rende il piano in oggetto carente di supporto normativo laddove lo stesso pretende di sottoporre a normativa d'uso e di valorizzazione ambientale beni e zone che, da un lato non sono ricompresi nelle previsioni della legge n. 431/1985, dall'altro non sono stati preventivamente individuati, quanto alle loro caratteristiche di particolare interesse ambientale, mediante le procedure previste dalla legge n. 1497/1939". Questa asserzione, posta a base dell'annullamento della deliberazione consiliare, testimonia che la C.C.A.R.E.R. ha totalmente equivocato sulla natura dei piani previsti dall'art. 1bis della legge n. 431/1985 e determina un'invasione della competenza regionale. 6. - La tesi della C.C.A.R.E.R. comporterebbe l'impossibilita' per la regione di realizzare la pianificazione territoriale-urbanistica con valenze paesistiche, che e' sua competenza di fondamentale importanza, salvo che limitatamente alle aree vincolate ai sensi delle leggi nn. 1497/1939 e 431/1985. L'errore del provvedimento si riflette nelle conclusioni, laddove e' detto che "concludendo sul punto, si deve ritenere illegittima ogni previsione, anche se di carattere urbanistico-territoriale, tendente ad integrare, con atto di carattere secondario che non trova precisa rispondenza in fonti primarie, i beni e le aree soggette alle 'Norme sulla protezione delle bellezze naturali' e le procedure per la individuazione delle stesse cosi' come disciplinate dalla legislazione statale". In tale formulazione si confonde la disciplina urbanistico territoriale con valenze paesistiche con la integrazione delle aree soggette alle norme sulle bellezze naturali e con le procedure per la loro individuazione. La lettura del piano paesistico dimostra che non vi e' in esso nessuna introduzione di nuove procedure per l'individuazione di beni soggetti alle leggi nn. 1497/1939 e 431/1985 e nessuna estensione di queste aree; che nessuna osservazione o contestazione concreta e' stata fatta al riguardo. Nessuna delle sia pur errate - specifiche contestazioni assunte a motivo della decisione impugnata triguarda - come i successivi motivi dimostrano - pretese estensioni del regime delle bellezze naturali. 7. - Tali estensioni non sussistono e non possono sussistere nella logica del piano urbanistico territoriale. Esso e' un piano urbanistico teleologicamente orientato, che per realizzare i valori primari costituzionalmente garantiti e individuati dalla Corte costituzionale non ha alcuna necessita' di estendere il vincolo delle "bellezze naturali", poiche' esso non e' volto a determinare un regime di autorizzazioni caso per caso (quelle necessarie nelle aree assoggettate a vincolo ex legge n. 1497/1939), ma una disciplina generale che detti le diverse regole di uso e di destinazione per le varie zone. L'errore della C.C.A.R.E.R. consiste nell'aver ritenuto che la legge n. 431/1985 abiliti (o confermi l'abilitazionre) solo ad approvare piani paesistici, mentre essa detta regole e per i piani paesistici (che hanno per presupposto l'individuazione, o per provvedimento amministrativo o per legge, delle aree sottoposte alla disciplina delle leggi nn. 1497/1939 e 431/1985) e per i piani urbanistico-territoriali che non hanno questo presupposto, ma investono l'intero territorio e che sono considerati dalla legge strumento idoneo per la tutela dei valori paesistici in quanto hanno l'obbligo di una particolare considerazione dei valori paesistici, cioe' in quanto sono soggetti per legge a tale imposizione di fini. In tal modo si rovescia l'interpretazione data dalla Corte costituzionale, la' dove si e' chiarito che la pianificazione in questione costituisce esercizio di competenze regionali teleologicamente orientato per l'attuazione del preminente valore della tutela del paesaggio. 8. - L'errore di fondo in cui e' incorsa la C.C.A.R.E.R. si riflette altresi' nella censura specifica che essa muove a norme di dettaglio del piano regionale. Cosi' avviene allorquando il provvedimento asserisce che l'art. 13 del piano paesistico e' illegittimo perche' prevede che i piani zonali previsti dalla legge ER n. 34/1983 "provvedono a vietare le tecniche, i metodi ed i mezzi di coltivazione che, in relazione alle caratteristiche del territorio interessato, possono comportare una riduzione permanente delle potenzialita' produttive del suolo e/o danneggiare le risorse natarali e/o storico-archeologiche. I medesimi piani zonali di sviluppo agricolo possono prevedere la cessazione temporanea o definitiva della coltivazione di determinati terreni favorendo il riformarsi della vegetazione spontanea per finalita' di tutela naturalistico-ambientale, o di tutela dell'integrita' fisica del territorio, o di attenuazione dell'intensita' di sfruttamento colturale dei suoli". Orbene l'art. 17 della legge ER n. 34/1983 prevede che sulla base e nel quadro della programmazione regionale (che e' determinato incontestabilmente anche del piano paesistico) i piani zonali indichino le aree da conservare o destinare alla utilizzazione agricola; di questa norma e' fatta applicazione dall'art. 13, secondo comma, del piano paesistico regionale, che ha dato particolari valenze ambientali paesistiche in attuazione dei valori primari sanciti dalla legge n. 431/1985. Il sistema di gerarchia di piani a cui fa riferimento l'art. 17 della legge EM. ROM. n. 34/1983 fa si' che il piano zonale abbia base nella programmazione regionale, che da' criteri e principi direttivi che non possono essere disattesi, ma possono essere attuati nell'ambito del potere sottordinato; cosi' la legge pone criteri e vincoli per il regolamento e il piano sopraordinato per il sottordinato. Tale e' nel diritto pubblico il significato della nozione di "base", ampiamente esaminato da giurisprudenza e dottrina. Anche per gli atti amministrativi vi e' una gerarchia; ed essa vale per i piani approvati con atti amministrativi. Tutto questo sistema e' stato dimenticato dalla deliberazione impugnata, che ritiene illegittimo l'art. 13, secondo comma "relativo ai piani zonali di sviluppo agricolo, perche' i piani in questione hanno una compiuta disciplina legislativa regionale nell'art. 17 della l.r. n. 34/1983. Il contenuto, l'efficacia e la portata degli stessi viene ridefinita, fino a trasformarli in strumenti che contengono anche previsioni territoriali vincolanti per tutti gli altri atti di pianificazione urbanistica e territoriale". La conclusione e' che "viene percio' modificata illegittimamente, con atto amministrativo, una disposizione contenuta in una legge regionale". In realta' il piano paesistico altro non fa che dettare criteri direttivi che rientrano nel suo ruolo di strumento "a monte" dei piani zonali, con funzione di pianificazione sopraordinata, chiamato ad indirizzare per l'attuazione del valore primario paesistico i piani zonali. Invero anche i singoli strumenti territoriali debbono perseguire in modo coordinato tale valore primario. 10. - Allo stesso errore o fraintendimento, va riportata l'asserzione del provvedimento impugnato secondo cui non sarebbe consentito alla regione alterare interessi e aspettative tutelate sulla base degli strumenti urbanistici, ne' sovrapporre un loro piano ai piani urbanistici in vigore, perche' "nelle parti in cui le previsioni del piano paesistico superano la pianificazione urbanistica in vigore, si disciplinano in realta', attraverso il piano, rapporti ed effetti giuridici intercorrenti sia fra l'amministrazione regionale e le amministrazioni comunali, che tra le amministrazioni e soggetti privati terzi, portatori di interessi legittimi e di aspettative legalmente tutelare sulla base degli strumenti urbanistici vigenti". Questa asserzione conduce a modificare le competenze regionali in materia urbanistica. Sempre, a partire dall'art. 5 della legge urbanistica del 1942, i piani territoriali sono stati posti in posizione sovraordinaria rispetto ai piani regolatori generali e ai loro strumenti attuativi. Dire che il piano e' illegittimo, perche' stabilisce prescrizioni e vincoli che prevalgono su quelli degli strumenti urbanistici, e' un altro dei rovesciamenti che viziano la deliberazione impugnata. L'errore del provvedimento consiste nel non cogliere il nesso di subordinazione teleologica ai valori primari che condiziona anche l'uso degli strumenti territoriali gia' esistenti: i piani urbanistico-territoriali con considerazione dei valori paesistici a dopppio titolo legittimamente si sovrappongono agli strumenti urbanistici come sopraordinati, perche' sono piani territoriali riconducibili al modello dell'art. 5 della legge urbanistica statale, e perche' sono piani realizzativi di valori primari. 11. - Ulteriore lesione delle competenze regionali si ravvisa nell'assegnazione secondo cui il piano paesistico non puo dettare norme per le aree archeologiche perche' la legge n. 1089/1939 attribuisce allo Stato, e non alle regioni, la competenza in materia archeologica, e dunque il piano paesistico (o territoriale con valenza paesistica) non potrebbe porre norme relative a tali zone. L'invasione delle competenze regionali e' evidente, dal momento che l'art. 1 della legge n. 431/1985 individua proprio le zone archeologiche come aree da disciplinare con i piani paesistici o urbanistico-territoriali. Se le zone archeologiche, come aree necessariamente soggette al vincolo della legge n. 1497/1939, debbono essere disciplinate dai piani paesistici, e' di tutta evidenza che non si puo' affermare che la materia e' riservata allo Stato. Il provvedimento impugnato d'altra parte confonde la tutela paesistica di cui alle leggi nn. 1497/1939 e 431/1985 con quella della legge n. 1089/1939. 12. - In ogni caso, tutte le censure specifiche mosse dal provvedimento impugnato alla delibera regionale (peraltro infondate) avrebbero, in ipotesi denegata, al piu' potuto fondare un annullamento parziale, riferito a singole disposizioni del piano, e non gia' l'annullamento totale disposto invece dalla C.C.A.R.E.R.