Ricorso  per conflitto d'attribuzioni per la regione EmiliaRomagna,
 in  persona  del  presidente  pro-tempore  della  giunta   regionale,
 rappresentata  e difesa per mandato a margine del presente atto dagli
 avv.ti Valerio Onida e Alberto Predieri ed alettivamente  domiciliata
 presso  lo studio di quest'ultimo in Roma, via Nazionale, 230, giusta
 deliberazione 31 gennaio 1990,  n.  122,  contro  il  Presidente  del
 Consiglio   dei   Ministri,   rapapresentato   e   difeso   ex   lege
 dall'avvocatura dello Stato, per l'annullamento  della  deliberazione
 della  commissione  di  controllo  sull'amministrazione della regione
 Emilia-Romagna del 15 dicembre 1989, prot. 9105 rg.  6901.
    1.  -  Con  deliberazione  29  giugno  1989, n. 2620, il consiglio
 regionale,  sulla  base  della  proposta  deliberata   dalla   giunta
 regionale  con  atto  n.  745  in  data  1› marzo 1988, stabiliva "di
 adottare il Piano paesistico regionale, di cui all'art. 1- bis  della
 legge  8  agosto  1985, n. 431, costituito dagli elaborati licenziati
 dalla commissione consiliare 'territorio e ambiente'  con  parere  n.
 216/3.3  nella  seduta  dell'11  maggio 1989 (modificati, quanto alle
 'norme', in sede di discussione consiliare) siccome indicati in parte
 narrativa:
      di  dare  atto che il piano paesistico - i cui originali saranno
 depositati presso la segreteria del consiglio regionale relativamente
 agli  elaborati  di  progetto  sara'  depositato,  in copia conforme,
 presso le sede delle amministrazioni provinciali, del circondario  di
 Rimini,   delle  comunita'  montane  e  delle  assemblee  dei  comuni
 dell'Imolese e del Cesenate;
      di  dare  altresi'  atto  che  l'adozione  del  piano paesistico
 regionale comporta l'applicazione delle misure di salvaguardia di cui
 all'art.  55  della  l.r.  7  dicembre  1978,  n.  47,  e  successive
 modificazioni, facendo contestualmente venire meno l'efficacia  delle
 disposizioni dettate dal consiglio regionale con le deliberazioni nn.
 596 e 597 in data
   19  marzo  1986,  nonche'  dei decreti ministeriali, se e in quanto
 vigenti, in applicazione dell'art.  2  del  decreto  ministeriale  21
 settembre 1984;
      di disporre che il presente provvedimento consiliare di adozione
 del  piano  paesistico  regionale  sia  pubblicato   sul   bollettino
 ufficiale della regione".
    2.  - Il provvedimento 15 dicembre 1989 prot. 9106 reg. 6901 della
 C.C.A.R.E.R., con cui  sono  state  annullate  le  deliberazioni  del
 consiglio    regionale    di    adozione    del    piano   paesistico
 dell'Emilia-Romagna n. 2620 del 29 giugno  1989  e  n.  2897  del  30
 novembre    1989,    era    stato    preceduto    dall'ordinanza   n.
 5249/3833/quinquies del 24 luglio 1989, con la quale  la  commissione
 di   controllo  sull'amministrazione  della  regione  Emilia-Romagna,
 esaminata la  predetta  delibera  consiliare  n.  2620,  invitava  il
 consiglio  regionale  a  voler  fornire  al  riquardo chiaridmenti ed
 elementi integrativi di giudizio: atto viziato per eccesso di  potere
 perche'   esorbitante  rispetto  alle  finalita'  della  funzione  di
 controllo. La deliberazione  di  annullamento  sopravvenuta  e'  atto
 illegittimo  cosi'  come quello che lo aveva preceduto, e che lede in
 modo grave l'autonomia della regione Emilia-Romagna.
    In  questa sede non ci si deve soffermare sul vizio della funzione
 che  ha  portato  l'organo  statale  ad  impedire  alla  regione   di
 esercitare   il  potere-dovere  di  bloccare  le  compromissioni  del
 territorio e dell'ambiente, di esercitare il suo dovere di  difesa  e
 di  attuazione  del  valore  primario qual'e', secondo l'insegnamento
 della Corte, la tutela dell'ambiente e del paesaggio.  Considerazioni
 su  questi  vizi  che possono far motivatamente parlare di eccesso di
 potere, cosi' come quelle sulla gravita' di  un  distorto  uso  della
 funzione attribuita dalla legge, che porta a non tutelare l'interesse
 pubblico altamente qualificato della tutela paesistica e  ambientale,
 vanno trascurate in questa sede; qui vanno solo rilevate e denunciate
 le lesioni delle competenze regionali.
    3. - Va ricordato, in premessa, che la competenza esercitata dalla
 regione con l'atto  annullato  dalla  commissione  di  controllo  non
 rientra  nell'ambito  delle funzioni di tutela del paesaggio delegate
 ai sensi dell'art. 82  del  d.P.R.  n.  616/1977,  ma  e'  competenza
 spettante   per  attribuzione  propria  alla  regione  nella  materia
 urbanistica, trasferita alla regione  medesima  gia'  con  l'art.  1,
 primo  comma,  lett.  a)  (approvazione  dei  piani  territoriali  di
 coordinamento), oltre che con l'art. 1,  quarto  comma  (redazione  e
 approvazione   dei   piani  paesistici);  del  d.P.R.  n.  8/1972,  e
 disciplinata  dalla  l.r.  7  dicembre  1978,  n.  47,  e  successive
 modificazioni.
    Che   l'attribuzione   regionale  di  pianificazione  territoriale
 rivesta l'intero territorio regionale, e' fuori  discussione.  E  che
 tale  pianificazione possa (e debba) avere fra l'altro contenuto tale
 da  assicurare  la  tutela  dei  valori  paesistici  e'   altrettanto
 indiscutibile,  e  risulta  in  particolare  dal  trasferimento delle
 funzioni in tema di piani  paesistici  (art.  1,  quarto  comma,  del
 d.P.R.  n. 8/1972), contenuta nell'art. 80 del d.P.R. n. 616/1977, ai
 cui sensi essa comprende  fra  l'altro  la  disciplina  dell'uso  del
 territorio  comprensivo di tutti gli aspetti concernenti, fra l'altro
 "la protezione dell'ambiente".
    Quando  quindi  la  legge  n. 431/1985 prevede, con riferimento ai
 beni soggetti a vincolo paesistico, alternativamente la formazione di
 "piani paesistici" o di "piani urbanistico-territoriali con specifica
 considerazione dei vincoli paesistici  ed  ambientali",  non  fa  che
 riferirsi  all'uso  -  appunto  alternativo  -  di due strumenti gia'
 rientranti nelle attribuzioni proprie della regione.
    In  particolare,  il  piano urbanistico-territoriale con specifica
 considerazione dei valori paesistici non e' uno strumento  nuovo,  la
 cui formazione da parte della regione sia stata prevista e consentita
 per la prima volta da questa legge, ma e'  uno  strumento  pienamente
 rientrante  nelle  competenze  regionali urbanistiche, solo vincolato
 nel fine dalla legge statale in ordine  alla  necessaria  tutela  dei
 valori  paesistici;  e come tale considerato, per gli effetti di tale
 tutela, strumento alternativo al piano paesistico in quanto idoneo  a
 ricomprendere  e  ad assorbire, nel suo piu' ampio contenuto, anche i
 fini di tutela del paesaggio.
    Il  piano  urbanistico-territoriale  e'  e resta espressione della
 potesta' pianificatoria della regione, estesa a tutto  il  territorio
 regionale.
    La  legge n. 431/1985 non ha certo ridotto l'ambito e il contenuto
 di tale potesta', ma lo ha solo arricchito di un contenuto necessario
 ulteriore (la considerazione dei valori paesistici).
    Il   provvedimento   impugnato   incorre  in  questo  fondamentale
 equivoco: di trattare l'atto soggetto a controllo come se esso  fosse
 interamente  ed  esclusivamente  soggetto  alla normativa propria dei
 piani paesistici in senso stretto (quelli di  cui  all'art.  5  della
 legge  n. 1497/1939), e non fosse invece espressione della piu' ampia
 potesta' regionale di pianificazione territoriale. Con il paradossale
 effetto,  oltretutto,  di  impedire  da  un  lato  l'esercizio di una
 competenza costituzionalmente spettante alla regione, dall'altro lato
 di impedire una effettiva tutela dei valori paesistici ed ambientali.
    L'art.   1-   bis  fa  riferimento  ai  beni  soggetti  a  vincolo
 paesistico,  ma  solo  per  rendere,  in  relazione  a   tali   beni,
 obbligatoria la formazione di piani; non certo per limitare o ridurre
 la   generale   potesta'   della    regione    di    formare    piani
 urbanistico-territoriali   per   l'intero  proprio  territorio  e  di
 assicurare in tale ambito anche la tutela dei valori paesistici.
    4. - Afferma alla C.C.A.R.E.R. che la regione non puo' procedere a
 deliberare un piano urbanistico territoriale che si estenda al di la'
 delle  aree di cui all'elenco dell'art. 1 predetto, se non dopo avere
 utilizzato le procedure di vincolo di cui alla legge n. 1497/1939.
    Tale  asserzione  e' infondata, dato che la regione ha adottato un
 piano paesistico  come  "piano  urbanistico  territoriale"  ai  sensi
 dell'art.  1-  bis della legge n. 431/1985 e del titolo secondo della
 legge ER 47/1985.
    L'art.  1-  bis  distingue  piani  paesistici  e piani urbanistici
 territoriali con considerazione di valori  paesistici,  che  sono  ad
 ogni  effetto  piani  urbanistici  e come tali non limitati alle sole
 aree assoggettate a vincolo paestico.
    La deliberazione consiliare dice nelle sue premesse "che l'art. 1-
 bis della legge 8 agosto 1985, n. 431, dispone la redazione da  parte
 delle regioni di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali
 con specifica considerazione dei valori paesistici ed  ambientali"  e
 con  riferimento  alla  legge  ER 7 dicembre 1978, n. 47, delibera di
 adottare il piano paesistico dando "atto  che  l'adozione  del  piano
 paesistico   regionale   comporta   l'applicazione  delle  misure  di
 salvaguardia di cui all'art. 55 delle l.r. 7 dicembre 1978, n. 47,  e
 successive modificazioni".
   L'art.  1  delle norme del piano in modo esplicito prevede che "nel
 quadro  della  programmazione  regionale   e   della   pianificazione
 territoriale   ed   urbanistica   il   presente   piano  territoriale
 paesistico, formato secondo il combinato disposto dell'art. 15 l.r. 5
 settembre  1988,  n.  36,  e  del punto 2 del primo comma dell'art. 4
 della l.r. 7 dicembre 1978, n. 47, nonche' per le finalita' e per gli
 effetti  di  cui  all'art.  1  bis della legge 8 agosto 1985, n. 431,
 persegue i seguenti obiettivi determinando specifiche  condizioni  ai
 processi di trasformazione ed utilizzazione del territorio:
       a)  conservare  i connotati riconoscibili della vicenda storica
 del  territorio  nei  suoi  rapporti  complessi  con  le  popolazioni
 insediate e con le attiviata' umane;
       b)   garantire   la   qualita'   dell'ambiente,   naturale   ed
 antropizzato, e la sua fruizione collettiva;
       c)  assicurare  la  salvaguardia  del  territorio  e  delle sue
 risorse primarie, fisiche, morfologiche e culturali;
       d)  individuare  le  azioni  necessarie per il mantenimento, il
 ripristino e l'integrazione dei valori paesistici e ambientali, anche
 mediante la messa in atto di specifici piani e progetti".
    Il  dire, come dice la deliberazione impugnata, che "in entrambi i
 sistemi, sia in quello della legge n. 431/1985, di  predeterminazione
 in  via  astratta  dei beni da tutelare, sia in quello della legge n.
 1497/1939, di loro individuazione in concreto, sussiste  comunque  un
 momento  preminente  ed  ineliminalibile, quello della individuazione
 appunto dell'oggetto su cui operare, del bene da sottoporre a  tutela
 per   il   suo   valore   ambientale  e  culturale:  solo  dopo  tale
 individuazione e' dato alla regione di predisporre la  redazione  del
 piano   paesistico   o   urbanistico   territoriale   con   specifica
 considerazione  dei  valori   paesistici   e   ambientali",   e'   un
 fraintendimento   di   un   dato  normativo  chiaro  (e  unanimemente
 interpretato), sia perche' limita il potere pianificatorio  regionale
 alle  aree  assoggettate  al vincolo paesistico, sia perche' confonde
 struttura e funzioni dei piani paesistici  e  dei  piani  urbanistici
 territoriali.
    La  C.C.A.R.E.R.  afferma che la regione puo' adottare o approvare
 piani paesistici, ma non puo' provvedere  all'attuazione  del  valore
 primario  di  tutela  del paesaggio e dell'ambiente anche fuori dalle
 aree soggette a vincolo, con i piani urbanistici territoriali di  cui
 all'art.  1-  bis  della  legge  n. 431/1985, perche' essi sono piani
 urbanistici.
    E'  viceversa  insegnamento della sentenza n. 153/1986 della Corte
 costituzionale che i piani previsti dall'art. 1- bis della  legge  n.
 431/1985   sono   "strumenti   urbanistici   in  funzione  di  tutela
 paesistica" (punto 4 diritto); e nella sent.  n.  151/1986  la  Corte
 afferma   che  l'art.  1-  bis  "regola  l'esercizio  qualificato,  e
 teleologicamente orientato in senso estetico-culturale, di competenze
 regionali in tema di urbanistica" (punto 5 del diritto).
    La  dottrina ha conseguentemente avuto modo di sottolineare che il
 ragionamento della Corte nelle sentenze nn. 151 e 153 del 1986 "muove
 dal  presupposto  della  natura  urbanistica  del  piano previsto dal
 secondo comma dell'art. 1- bis e quindi della  piena  coincidenza  di
 questo con quello attribuito dal legislatore del 1972 alla competenza
 propria" (Immordino,  "Primarieta'"  ed  "essenzialita'"  del  valore
 paesaggistico  e  conseguente assetto delle competenze Stato-regioni,
 Riv. giur. urb., 1987, 23 e segg., p. 36; cfr. Torregrossa, La tutela
 del  paesaggio  nella  legge  8  agosto 1985, n. 431, Riv. giur. ed.,
 1986, II, 135 e segg.; Id., Dall'ambiente al paesaggio nella legge  8
 agosto 1985, n. 431, Giur. merito, 1986, IV, 735 e segg.).
    Il piano territoriale-urbanistico e', e non puo' non essere, piano
 urbanistico, (Alibrandi e Ferri,  I  beni  culturali  ed  ambientali.
 Appendice  a commento alla legge 8 agosto 1985, n. 431, Milano, p. 12
 e segg.; Torregrossa, Relazione introduttiva al Convegno  di  Salerno
 del  9  novembre  1985, in Atti, Rimini, 1985, p. 19 e segg., Zeviani
 Pallotta, Natura giuridica dei vincoli temporanei di inedificabilita'
 della  legge  8  agosto 1985, n. 431, Riv. giur. ed., 1986, II, 195 e
 segg.,  sp.  p.  199   e   segg.;   Pallottino,   La   pianificazione
 dell'ambiente  nella  legge  8  agosto 1985, n. 431, Riv. giur. amb.,
 1988, 636 e 645; Morbidelli,  Legge  "Galasso":  durata  e  forma  di
 imposizione    dei    vincoli    di    inedificabilita'   nei   piani
 urbanistico-paesistici, Riv. giur. urb.,  1986,  III,  325  e  segg.;
 Zaccardi,  Le competenze statali e regionali in materia di tutela del
 paesaggio, Riv. giur. ed., 1986, II, 187 e segg.).
    Non  diversa e' la posizione di chi parla di "sistema rinnovato di
 disciplina del territorio, considerato non piu' come  mero  luogo  di
 riferimenti  urbanistici attinenti alla gestione ed uso del medesimo,
 ma come ambiente-funzione di valori paesistici e  culturali,  sicche'
 la  competenza  degli  interventi  implica  un rapporto di necessaria
 integrazione dei poteri" (De Leonardis, Verso la tutela del paesaggio
 come  situazione  oggettiva  costituzionale,  Riv. trim. dir. pubbl.,
 1988, 342 e segg., p. 368; Cutrera, Piani  paesistici,  territorio  e
 "legge  Galasso",  Riv.  giur.  amb., 1986, 37 e segg., p. 38) che si
 inserisce nella cornice delle decisioni della  Corte  costituzionale:
 sentenze  nn.  151  e  153/1986 (in particolare, la sent. n. 151/1986
 insiste sul carattere "gestionale e dinamico" che viene  ad  assumere
 la  tutela  del paesaggio); sentenze nn. 94 e 359 del 1985, 302 e 499
 del 1988.
    Nella   sentenza   n.   151/1986  la  Corte  afferma  che  con  la
 ridefinizione dell'"oggetto" dell'urbanistica si  e'  consolidato  il
 principio  della confluenza nell'assetto del territorio di molteplici
 e diversificati interessi (anche storici, ambientali, paesaggistici),
 affidati  ad  istanze  statali  e  regionali (cfr. soprattutto art. 1
 della legge 6 agosto 1967, n. 765; art.  7,  n.  5,  della  legge  19
 novembre  1968, n. 1187; artt. 1 e 17 della legge 28 gennaio 1977, n.
 10; artt. 80 e 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; artt. 10, ultimo
 comma, e 29, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47).
    In  verita'  questo  processo  era  stato  accolto  e,  per taluni
 aspetti, anticipato dalla  legislazione  regionale  (nella  quale  si
 iscrive  la legge piemontese n. 69 impugnata), che aveva direttamente
 o indirettamente annoverato tra le funzioni dei piani urbanistici  la
 tutela  ambientale, paesaggistica e storica del territorio in genere.
 Ad essa si accompagno' la  svolta  giurisprudenziale,  segnata  dalla
 netta  presa  di  posizione del Consiglio di Stato (ad. plen. 9 marzo
 1982 n. 3).
    Il  giudice  amministrativo  sanci' la legittimita' del divieto di
 coltivazione delle cave, contenuto in un piano  regolatore  generale,
 anche  per  il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n.
 10 e del d.P.R. n. 616/1977 - che  incisero  sull'individuazione  del
 concetto di urbanistica -, in quanto tale divieto fosse fondato sulla
 indicazione di ragioni specifiche e particolarmente  gravi,  connesse
 alla salvagurdia dell'ambiente".
    5.  -  Punto nodale dell'art. 1- bis della legge n. 431/1985 e' la
 defferenziazione  dei  due  strumenti  -  piano  paesistico  e  piano
 urbanistico-territoriale   -   lasciata   alla  discrezionalita'  del
 competente organo regionale, che puo' scegliere fra un piano speciale
 qual'e'  quello  paesistico, che e' speciale per la limitazione delle
 aree (cioe' solo quelle vincolate) e per il contenuto dei precetti, e
 un  piano generale, che puo' investire l'intero territorio (qualunque
 ne  sia  la  fisica  estensione)  e  che  attua,  mediante  peculiari
 precetti, il valore primario di tutela del paesaggio.
    Questa  scelta  attribuita  alle  regioni e' un punto qualificante
 della legge n. 431/1985.
    Il  riferimento  ai  piani  paesistici  (strumento abbozzato nella
 legislazione del 1939 in situazioni  istituzionali  e  culturali  ben
 diverse  dalle  attuali),  che  era stato effettuato dal c.d. decreto
 Galasso  e  di  nuovo  nel  d.-l.  27  giugno  1985,  n.  312,  venne
 opportunamente  corretto  dal  Parlamento  con  la legge n. 431/1985.
 Esso, nel riscrivere quasi completamente l'originario  decreto-legge,
 introduceva  nell'art.  1-  bis  per  le  regioni la scelta fra piani
 paesistici   e   piani   urbanistico-territoriali   con   particolare
 considerazione dei valori paesistici e ambientali.
    In  tal  modo,  opportunamente, il Parlamento riportaba nell'alveo
 della pianificazione territoriale la tutela  di  un  valore  primario
 come  e' la difesa del paesaggio, superando le angustie concettuali e
 operative della normazione del 1939.
    Questa,  infatti,  vedeva  il  piano  paesistico come un pianpo di
 dettaglio affidato  alla  soprintendenza  incaricata  dal  Ministero,
 redatto valendosi della collaborazione degli uffici tecnici comunali,
 secondo una disposizione (art. 5 del r.d. 3 giugno 1940, n. 1357) che
 testimonia la diversita' di impostazione, di dimensioni, di spessore,
 di interazioni e di coerente fra il piano paesistico  "elementare"  e
 il   piano   urbanistico   territoriale,   strumento,   quest'ultimo,
 complesso, di ampio respiro e di dimensioni ampie  e  tendenzialmente
 rivolto  ad  una  regolazione  globale  del territorio, quanto meno a
 introdurre una disciplina a vasto spettro. Questo piano  implica  una
 serie di normazioni di uso e di valorizzazione del territorio, la cui
 formazione implica a sua volta complesse istruttorie volte a  fornire
 le  basi  cognitive  di  una serie di previsioni, di prescrizioni, di
 ordini, di direttive e via dicendo, caratterizzate  dalla  preminenza
 dei  valori  individuati  dal  piano  nel  quadro  dei valori primari
 paesistici.  Il   piano   riconduce   ad   una   teleologica   (Corte
 costituzionale  n.  153/1986)  diverse  normazioni  di settore, in un
 disegno coerente e nel rispetto della gerarchia dei valori. Cosicche'
 anche  norme  e  istituti  urbanistici  in senso stretto, nei settori
 agrario o delle cave e via dicendo, vengono utilizzati e  indirizzati
 per  realizzare  la  tutela del paesaggio e dell'ambiente considerati
 nella  loro  interezza,  e  assunti  costituzionalmente  come  valori
 primari  rispetto  agli  altri,  che  risultano  di  volta  in  volta
 subordinati o finalizzati rispetto ai primi.
    Il  provvedimento  della  C.C.A.R.E.R.  asserisce invece che piano
 paesistico e piano urbanistico territoriale  sono  entrambi  limitati
 alle  sole aree soggette al vincolo di tutela previsto dalla legge n.
 1497/1939 e dalla legge  n.  431/1985,  ed  individuate  o  per  atto
 amministrativo   o  dalla  legge,  affermando  che  "solo  dopo  tale
 individuazione e' dato alla regione di predisporre la  redazione  del
 piano   paesistico   o   urbanistico   territoriale   con   specifica
 considerazione dei  valori  paesistici  e  ambientali"  (pag.  3  del
 provvedimento);  e  proseguendo  col  dire che "appunto la carenza di
 tale presupposto rende  il  piano  in  oggetto  carente  di  supporto
 normativo  laddove lo stesso pretende di sottoporre a normativa d'uso
 e di valorizzazione ambientale beni e zone che, da un lato  non  sono
 ricompresi  nelle  previsioni della legge n. 431/1985, dall'altro non
 sono   stati   preventivamente   individuati,   quanto   alle    loro
 caratteristiche  di  particolare  interesse  ambientale,  mediante le
 procedure previste dalla legge n. 1497/1939".
    Questa   asserzione,   posta   a   base   dell'annullamento  della
 deliberazione  consiliare,  testimonia   che   la   C.C.A.R.E.R.   ha
 totalmente  equivocato sulla natura dei piani previsti dall'art. 1bis
 della legge n. 431/1985 e  determina  un'invasione  della  competenza
 regionale.
    6. - La tesi della C.C.A.R.E.R. comporterebbe l'impossibilita' per
 la regione di realizzare la  pianificazione  territoriale-urbanistica
 con  valenze  paesistiche,  che  e'  sua  competenza  di fondamentale
 importanza, salvo che limitatamente  alle  aree  vincolate  ai  sensi
 delle leggi nn. 1497/1939 e 431/1985.
    L'errore  del provvedimento si riflette nelle conclusioni, laddove
 e' detto che "concludendo sul punto,  si  deve  ritenere  illegittima
 ogni  previsione,  anche  se  di  carattere urbanistico-territoriale,
 tendente ad integrare, con atto di carattere secondario che non trova
 precisa rispondenza in fonti primarie, i beni e le aree soggette alle
 'Norme sulla protezione delle bellezze naturali' e le  procedure  per
 la   individuazione   delle  stesse  cosi'  come  disciplinate  dalla
 legislazione statale".
    In   tale  formulazione  si  confonde  la  disciplina  urbanistico
 territoriale con valenze paesistiche con la integrazione  delle  aree
 soggette alle norme sulle bellezze naturali e con le procedure per la
 loro individuazione. La lettura del piano paesistico dimostra che non
 vi   e'   in   esso  nessuna  introduzione  di  nuove  procedure  per
 l'individuazione di beni soggetti alle leggi nn. 1497/1939 e 431/1985
 e  nessuna  estensione  di  queste  aree;  che nessuna osservazione o
 contestazione concreta e' stata fatta al riguardo. Nessuna delle  sia
 pur   errate  -  specifiche  contestazioni  assunte  a  motivo  della
 decisione impugnata triguarda - come i successivi motivi dimostrano -
 pretese estensioni del regime delle bellezze naturali.
    7. - Tali estensioni non sussistono e non possono sussistere nella
 logica  del  piano  urbanistico  territoriale.  Esso  e'   un   piano
 urbanistico  teleologicamente  orientato, che per realizzare i valori
 primari  costituzionalmente  garantiti  e  individuati  dalla   Corte
 costituzionale non ha alcuna necessita' di estendere il vincolo delle
 "bellezze naturali", poiche' esso  non  e'  volto  a  determinare  un
 regime  di autorizzazioni caso per caso (quelle necessarie nelle aree
 assoggettate a vincolo ex legge  n.  1497/1939),  ma  una  disciplina
 generale  che detti le diverse regole di uso e di destinazione per le
 varie zone.
    L'errore  della  C.C.A.R.E.R.  consiste  nell'aver ritenuto che la
 legge n.  431/1985  abiliti  (o  confermi  l'abilitazionre)  solo  ad
 approvare  piani  paesistici,  mentre essa detta regole e per i piani
 paesistici  (che  hanno  per  presupposto  l'individuazione,  o   per
 provvedimento  amministrativo o per legge, delle aree sottoposte alla
 disciplina delle leggi nn.  1497/1939  e  431/1985)  e  per  i  piani
 urbanistico-territoriali   che   non  hanno  questo  presupposto,  ma
 investono l'intero territorio e  che  sono  considerati  dalla  legge
 strumento  idoneo per la tutela dei valori paesistici in quanto hanno
 l'obbligo di una particolare considerazione  dei  valori  paesistici,
 cioe' in quanto sono soggetti per legge a tale imposizione di fini.
    In  tal  modo  si  rovescia  l'interpretazione  data  dalla  Corte
 costituzionale, la' dove si e'  chiarito  che  la  pianificazione  in
 questione    costituisce    esercizio    di    competenze   regionali
 teleologicamente orientato per  l'attuazione  del  preminente  valore
 della tutela del paesaggio.
    8.  -  L'errore  di  fondo  in  cui  e' incorsa la C.C.A.R.E.R. si
 riflette altresi' nella censura specifica che essa muove a  norme  di
 dettaglio del piano regionale.
    Cosi' avviene allorquando il provvedimento asserisce che l'art. 13
 del piano paesistico e'  illegittimo  perche'  prevede  che  i  piani
 zonali  previsti  dalla  legge ER n. 34/1983 "provvedono a vietare le
 tecniche, i metodi ed i mezzi di coltivazione che, in relazione  alle
 caratteristiche  del  territorio  interessato, possono comportare una
 riduzione permanente delle potenzialita'  produttive  del  suolo  e/o
 danneggiare le risorse natarali e/o storico-archeologiche. I medesimi
 piani zonali di sviluppo agricolo  possono  prevedere  la  cessazione
 temporanea  o  definitiva  della  coltivazione di determinati terreni
 favorendo il riformarsi della vegetazione spontanea per finalita'  di
 tutela  naturalistico-ambientale,  o di tutela dell'integrita' fisica
 del territorio, o di  attenuazione  dell'intensita'  di  sfruttamento
 colturale dei suoli".
    Orbene  l'art. 17 della legge ER n. 34/1983 prevede che sulla base
 e nel quadro  della  programmazione  regionale  (che  e'  determinato
 incontestabilmente   anche  del  piano  paesistico)  i  piani  zonali
 indichino le  aree  da  conservare  o  destinare  alla  utilizzazione
 agricola; di questa norma e' fatta applicazione dall'art. 13, secondo
 comma, del  piano  paesistico  regionale,  che  ha  dato  particolari
 valenze  ambientali  paesistiche  in  attuazione  dei  valori primari
 sanciti dalla legge n. 431/1985.
    Il  sistema  di  gerarchia di piani a cui fa riferimento l'art. 17
 della legge EM. ROM. n. 34/1983 fa si' che il piano zonale abbia base
 nella  programmazione regionale, che da' criteri e principi direttivi
 che  non  possono  essere  disattesi,  ma  possono   essere   attuati
 nell'ambito  del  potere  sottordinato; cosi' la legge pone criteri e
 vincoli  per  il  regolamento  e  il  piano  sopraordinato   per   il
 sottordinato.  Tale  e'  nel  diritto  pubblico  il significato della
 nozione di "base", ampiamente esaminato da giurisprudenza e dottrina.
    Anche  per  gli  atti  amministrativi vi e' una gerarchia; ed essa
 vale per i piani approvati con atti amministrativi.
    Tutto  questo  sistema  e'  stato  dimenticato dalla deliberazione
 impugnata, che ritiene illegittimo l'art. 13, secondo comma "relativo
 ai  piani  zonali  di sviluppo agricolo, perche' i piani in questione
 hanno una compiuta  disciplina  legislativa  regionale  nell'art.  17
 della  l.r.  n. 34/1983. Il contenuto, l'efficacia e la portata degli
 stessi  viene  ridefinita,  fino  a  trasformarli  in  strumenti  che
 contengono  anche  previsioni  territoriali  vincolanti per tutti gli
 altri  atti  di  pianificazione  urbanistica  e   territoriale".   La
 conclusione  e'  che  "viene percio' modificata illegittimamente, con
 atto  amministrativo,  una  disposizione  contenuta  in   una   legge
 regionale".
    In  realta'  il  piano paesistico altro non fa che dettare criteri
 direttivi che rientrano nel suo ruolo  di  strumento  "a  monte"  dei
 piani  zonali, con funzione di pianificazione sopraordinata, chiamato
 ad indirizzare per l'attuazione  del  valore  primario  paesistico  i
 piani zonali.
    Invero  anche  i singoli strumenti territoriali debbono perseguire
 in modo coordinato tale valore primario.
    10.   -   Allo  stesso  errore  o  fraintendimento,  va  riportata
 l'asserzione del provvedimento  impugnato  secondo  cui  non  sarebbe
 consentito  alla  regione  alterare  interessi e aspettative tutelate
 sulla base degli strumenti urbanistici, ne' sovrapporre un loro piano
 ai  piani  urbanistici  in  vigore,  perche'  "nelle  parti in cui le
 previsioni  del   piano   paesistico   superano   la   pianificazione
 urbanistica  in  vigore,  si  disciplinano  in realta', attraverso il
 piano,  rapporti  ed  effetti   giuridici   intercorrenti   sia   fra
 l'amministrazione regionale e le amministrazioni comunali, che tra le
 amministrazioni e soggetti  privati  terzi,  portatori  di  interessi
 legittimi  e  di  aspettative  legalmente  tutelare  sulla base degli
 strumenti urbanistici vigenti".
    Questa  asserzione conduce a modificare le competenze regionali in
 materia urbanistica.
    Sempre,  a partire dall'art. 5 della legge urbanistica del 1942, i
 piani territoriali  sono  stati  posti  in  posizione  sovraordinaria
 rispetto  ai piani regolatori generali e ai loro strumenti attuativi.
    Dire  che il piano e' illegittimo, perche' stabilisce prescrizioni
 e vincoli che prevalgono su quelli degli strumenti urbanistici, e' un
 altro dei rovesciamenti che viziano la deliberazione impugnata.
    L'errore  del  provvedimento consiste nel non cogliere il nesso di
 subordinazione teleologica ai valori  primari  che  condiziona  anche
 l'uso   degli   strumenti   territoriali   gia'  esistenti:  i  piani
 urbanistico-territoriali con considerazione dei valori  paesistici  a
 dopppio   titolo   legittimamente  si  sovrappongono  agli  strumenti
 urbanistici  come  sopraordinati,  perche'  sono  piani  territoriali
 riconducibili al modello dell'art. 5 della legge urbanistica statale,
 e perche' sono piani realizzativi di valori primari.
    11.  -  Ulteriore  lesione  delle  competenze regionali si ravvisa
 nell'assegnazione secondo cui il piano  paesistico  non  puo  dettare
 norme  per  le  aree  archeologiche  perche'  la  legge  n. 1089/1939
 attribuisce allo Stato, e non alle regioni, la competenza in  materia
 archeologica,  e  dunque  il  piano  paesistico  (o  territoriale con
 valenza paesistica) non potrebbe porre norme relative a tali zone.
    L'invasione  delle  competenze  regionali e' evidente, dal momento
 che l'art. 1 della  legge  n.  431/1985  individua  proprio  le  zone
 archeologiche  come  aree  da  disciplinare  con i piani paesistici o
 urbanistico-territoriali.
    Se  le  zone  archeologiche, come aree necessariamente soggette al
 vincolo della legge n. 1497/1939,  debbono  essere  disciplinate  dai
 piani  paesistici, e' di tutta evidenza che non si puo' affermare che
 la materia  e'  riservata  allo  Stato.  Il  provvedimento  impugnato
 d'altra  parte  confonde  la  tutela paesistica di cui alle leggi nn.
 1497/1939 e 431/1985 con quella della legge n. 1089/1939.
    12.  -  In  ogni  caso,  tutte  le  censure  specifiche  mosse dal
 provvedimento impugnato alla delibera regionale (peraltro  infondate)
 avrebbero,   in   ipotesi   denegata,   al  piu'  potuto  fondare  un
 annullamento parziale, riferito a singole disposizioni del  piano,  e
 non gia' l'annullamento totale disposto invece dalla C.C.A.R.E.R.